“Fino all’ultimo respiro”, il nuovo legal thriller di Sabrina Izzi

Presentato a Torella del Sannio: l’autrice si chiede cosa significhi essere innocenti e cosa accade quando il mondo intorno a te decide il contrario

All’interno di una gremitissima Sala  Convegni ” Don Antonio Cerrone”, a Torella del Sannio, si è svolta, sabato, 24 maggio, la cerimonia di presentazione del nuovo romanzo della giovane scrittrice torellese, Sabrina Izzi ( classe 1983): “Fino all’ultimo respiro”, edito da Riccardo Edizioni di Reggio Emilia e che rappresenta l’ottava prova letteraria, dopo i romanzi ” Delirium”, ” Dentro l’inferno”, ” E ancora il buio”, “Regina dei melograni”, ” Il giardino degli aranci”, “Anche la pioggia nelle scarpe”, “L’ombra dei ricordi”.

Anche in questa circostanza, come nei precedenti eventi di inaugurazione dei libri promossi, Sabrina Izzi ha confermato l’originale ed innovativa scelta di integrare la presentazione del libro, con lo spettacolo teatrale, chiamato a rappresentare, in scena, in contenuti del romanzo (grazie agli attori Vittorio Del Cioppo, Stefania Colucci, Enrico Di Placio, Roberto Izzi, Giampiero Di Bartolomeo, Marco e Luca Ciamarra e alla stessa autrice), inserendolo, fra le relazioni degli ospiti chiamati a commentare il romanzo e che in questa circostanza, sono stati: il professore di lettere, oggi in pensione, Giuseppe Cacchione; l’avvocato Arturo Messere, esperto di Diritto Penale; la professoressa Antonella Presutti, scrittrice e Presidente della Fondazione Molise Cultura; la professoressa Mariagrazia Petti, amica ed abituale punto di riferimento culturale dell’autrice.

Il romanzo, come ha detto il professore Cacchione, nel corso dell’evento, è un legal thriller e, contrariamente a quanto sostiene lo scrittore bulgaro contemporaneo Georgi Gospodinov che sostiene che “i generi letterari non esistono”, si inserisce nella serie lunghissima della letteratura poliziesco-giudiziaria. La storia è ambientata in Texas, in città come Austin e Houston che vantano, negli Stati Uniti, il triste record delle esecuzioni capitali, fin da quando, negli anni ’80, la sedia elettrica divenne, in almeno 9 Stati, lo strumento ufficiale utilizzato per uccidere i condannati a morte. L’avvocato Christopher William  Brooks, protagonista del nuovo romanzo di Sabrina Izzi, viene arrestato per un omicidio che non ha commesso e la sua vita sarà sospesa fra la solitudine di una cella di isolamento e la lotta disperata per la verità: accusato, ingiustamente, di crimini terribili, finirà nel Braccio della Morte, mentre i suoi legali lotteranno per dimostrare la sua innocenza e i familiari vivranno il dolore nel vederlo imprigionato.  

Come scrive, nella sua prefazione, il professor Cacchione: Christopher, protagonista del romanzo, vivrà una dimensione simile a quell’ingranaggio spaventoso che accadde ad uno stralunato Alberto Sordi, ritenuto colpevole di una strage sanguinosa, nel film “Detenuto in attesa di giudizio ” del regista Nanni Loi  e ci sono riferimenti del thriller, che fanno ricordare, ad esempio: il film “Il Miglio Verde”, il legal thriller “Presunto innocente” di Scott Turow  ed il film “Fino all’ultimo respiro”, scritto e diretto da Jean-Luc Godard  che, nel 1960, rivoluzionò la grammatica del Cinema, fino a rivelarsi come il “Manifesto” della Nouvelle Vague. 

C’è, all’interno del libro, dopo la prefazione, una nota legale dell’avvocato campobassano Angelo Piunno che promuove la qualità del testo, per l’aderenza alla realtà giuridica, per l’accortezza nell’uso del linguaggio legale (quando, per esempio, Sabrina Izzi parla di “udienza preliminare”, di “perizia calligrafica”, di prove scientifiche del Dna). Il racconto rispetta, fedelmente, il sistema legale americano degli anni ’90 mettendo in luce le problematiche legate ai processi indiziari, nei quali non esiste la prova certa, decisa e concreta a carico dell’imputato e in cui il rischio di errori giudiziari è estremamente elevato. La storia narrata induce a riflettere su quanto sia fragile il confine tra giustizia e ingiustizia in un sistema che si affida a prove indirette e spesso contestabili. E un altro aspetto, particolarmente, intenso e realistico del romanzo è la rappresentazione della sofferenza della vita nel “Braccio della Morte” attraverso il racconto delle condizioni disumane, dell’isolamento psicologico  e del peso emotivo della condanna a morte, descritte, dall’autrice, con un’aderenza impressionante alla realtà.

L’errore giudiziario e l’inumana misura della pena di morte, ancora attuale negli Stati Uniti, sono i due temi che l’avvocato Arturo Messere, presente all’evento, individua nel romanzo: “Un precursore del diritto penale moderno, come Cesare Beccaria – scrive, nella sua relazione, l’avvocato Messere – nel suo celebre trattato Dei delitti e delle pene, sosteneva l’inutilità della pena capitale, perché questa non serviva a dissuadere i criminali e generava solo violenza e risentimento, facendo lievitare un circolo vizioso di vendetta e brutalità. Il bene della vita è indisponibile e non può essere oggetto di scelta e decisione né del singolo individuo, né dello Stato, in quanto la vita è un bene prezioso ed inviolabile. Cesare Beccaria apriva, in questo modo, l’orizzonte alle possibilità di rieducazione del condannato e del suo reinserimento nella società. E sottolineava che la pena era giusta quando rispettava alcuni principi fondamentali: ed era, quindi, pubblica in modo da dissuadere potenziali criminali. Eseguita nell’immediatezza, dopo la condanna, in modo che il reo non potesse evitare l’ammonizione, con il passare del tempo. L’illustre giurista Beccaria, sosteneva, inoltre, la proporzionalità tra la pena e il reato, al fine di garantire la giustizia del sistema penale basato sulla prevenzione e sulla rieducazione. Fin quando il principio del libero convincimento dei magistrati non viene temperato con il dubbio, con la prudenza e l’umiltà – ha proseguito l’avvocato Messere – e fin quando non ci si affida ad una corretta valutazione delle prove e, quindi, del sapere, e non del credere, ci troveremo, continuamente, nella negazione della certezza del diritto e continueremo ad avere casi, nella storia umana, di uomini innocenti processati, che sono stati, spesso, ingiustamente condannati, come accadde, in particolare, nei processi a Socrate, a Gesù Cristo, alle vittime della colonna infame, a Rocco Barnabei, a Sacco e Vanzetti (giustiziati il 23 agosto 1927 in un penitenziario statale, non lontano da Boston e riabilitati, completamente, nella memoria, dal Governatore del Massachusetts, 50 anni dopo la morte).

“Fino all’ultimo respiro ” – dice la professoressa  Antonella Presutti – ci fa scendere nell’inferno dell’animo umano, attraverso una narrazione rigorosa e complessa, che procede attraverso flashback, anticipazioni e che ci getta “in medias res”, nel mezzo dei fatti : il 23 dicembre 1998, a Houston, in Texas, nell’albergo c’è Christopher, che è un eccellente avvocato, padre di famiglia, amato dai genitori e dalla moglie, pienamente appagato dalla vita che, il giorno dopo dovrà discutere un’importante causa, quando, improvvisamente, qualcuno bussa alla porta dell’albergo e Christopher trova dei poliziotti che, dopo avergli chiesto le generalità, lo arrestano. Comincia così il tunnel – prosegue Antonella Presutti, nella sua analisi – la discesa verso gli Inferi, dove Christopher vivrà l’incubo, sperando che presto finirà, senza sapere cosa sia accaduto e di cosa sia accusato. Lo aspettano anni di processi e la condanna a morte…”. Dalla storia di Christopher, Antonella Presutti coglie l’esempio dell’imponderabilità della vita che non ha una logica. Che ci spiazza. Dove l’amore e l’amicizia sono come amuleti: l’ultimo baluardo per non impazzire. Un romanzo in cui disperazione e speranza dialogano continuamente. E che rappresenta una sfida a tutti noi. Che ci fa chiedere cosa siamo disposti a fare per fermare un’ingiustizia e quanto possa essere equa una giustizia che ammette l’errore. 

Davide Marroni

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